Sfatiamo il mito della carne rossa che fa male

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Sfatiamo il mito della carne rossa che fa male

Una ricerca molto interessante realizzata in Texas nel 2017mette in evidenza i limiti metodologici degli studi condotti fino ad oggi sul tema carne rossa e rischio di cancro al colon-retto.

Una ricerca molto interessante realizzata in Texas nel 2017mette in evidenza i limiti metodologici degli studi condotti fino ad oggi sul tema carne rossa e rischio di cancro al colon-retto.

Infatti finora il ruolo della carne rossa nello sviluppo del cancro del colon-retto si basa solamente su prove provenienti da studi osservazionali nell’uomo, che sono i meno precisi per quanto riguarda la qualità delle evidenze scientifiche, e specialmente in quelle popolazioni che consumano una dieta occidentalizzata, in cui il consumo di carne è elevato e il consumo di frutta, verdura e cereali integrali è ridotto. In questa revisione sistematica, che ha una qualità di evidenza scientifica di livello superiore, di quaranta studi che hanno utilizzato modelli animali o colture cellulari per esaminare il ruolo del ferro-eme o delle amine eterocicliche nella carcinogenesi del colon-retto, si dimostra che la maggior parte di essi ha utilizzato livelli di carne o delle sue componenti ben superiori a quelli riscontrati nelle diete umane nella realtà. Inoltre la maggior parte non includeva i potenziali composti protettivi biologicamente attivi presenti negli alimenti nella loro completezza.

A tal proposito la nutrizionista Elisabetta Bernardi commenta:

“Questa revisione della letteratura mette in risalto i limiti degli studi presi fino ad oggi in considerazione per stabilire il rapporto tra consumo di carne rossa e tumore del colon-retto. I limiti sono principalmente due: le quantità sia di carne che di sostanze potenzialmente cancerogene e l’assenza di fattori protettivi”.

Per esempio nella figura numero 2 sottostante viene mostrata la notevole differenza tra le quantità di ferro eme realmente presenti nella dieta e quelle prese in considerazione negli studi per dimostrarne la cancerogenicità. Le seconde sono di gran lunga maggiori e si discostano enormemente dalla realtà.

Continua la Dottoressa Bernardi:

“La maggior parte degli studi ha utilizzato livelli di carne o componenti della carne ben superiori a quelli riscontrati nelle diete umane”. Inoltre gli studi non considerano i fattori protettivi come la fibra o le sostanze protettive di frutta e ortaggi. Gli studi riassunti indicano che quando le diete contengono elevati livelli di clorofilla, fibre prontamente fermentabili o carbonato di calcio, c’è poco impatto sull’inclusione di livelli ragionevoli di carne sulla salute del colon”.

Fonte: Carni sostenibili

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